“La libertà comincia dall’ironia”, diceva il buon caro vecchio Victor Hugo.
Ma abbandoniamo l’’800 e restiamo sul contemporaneo, perché per quanto l’ironia possa valicare un arco temporale davvero molto vasto, mai più di oggi riesce a far parlare di sé.
Insomma, ti è mai capitato di camminare per strada e fissarti su un cartellone pubblicitario? Probabilmente, tutte le volte che ti è capitato non ti è importato granché del prodotto pubblicizzato: ciò che ti ha sempre davvero colpito è il messaggio pubblicitario.
A catturarti è stata un headline ben scritta o un visual accattivante e, la maggior parte delle volte sei rimasto lì, a fissare il cartellone con un sorriso da ebete, letteralmente conquistato dal grande potere dell’ironia.
Lo so, lo so. È impossibile trattenersi.
Ironia e pubblicità: “sorelle di sangue”
Sì, è vero, le note “sorelle di sangue” sono ironia e intelligenza secondo un certo Kierkegaard, ma soltanto perché non erano ancora nati gli spot. La pubblicità non ha resistito alla tentazione di accogliere a braccia aperte l’ironia, anche quella più esplicita. E non è un caso che la pubblicità più coinvolgente, quella in grado di catturare l’attenzione e fissarsi nella mente di milioni di persone, sia proprio quella che riesce a strappare un sorriso.
E riuscire a far sorridere, soprattutto oggi che – diciamolo – di buffoni siamo circondati, è davvero tanto difficile. Bisogna saperla dosare e mescolarla con gli ingredienti giusti, trovare le parole migliori e arrivare dritto al punto. In altre parole: attirare la mente, colpire al cuore e conquistare entrambi.
E i copywriter sanno bene quanto è difficile fare tutto questo. Come ha detto anche Valentina Falcinelli in uno dei suoi articoli, “cosa c’è di peggio d’una battuta che nessuno capisce e che bisogna spiegare?”.
L’ironia è una cosa seria
“Ironia e sarcasmo sono due armi affilate, da usarsi con cautela. Perché per chi ascolta è molto difficile ribattere, se non è d’accordo. E questo può risultare parecchio irritante. Altro che simpatico”. Così Annamaria Testa ci ricorda che usare l’ironia non è roba per tutti. Insomma, è una cosa seria e, come tale, va maneggiata con cura. E poi, far ridere non è mica così facile.
Ma quando si riesce a strappare un sorriso tutto cambia. È proprio in quell’istante che si crea un legame profondo tra narratore e ascoltatore. L’azienda diventa improvvisamente nostra amica, il messaggio pubblicitario smorza la tensione e il prodotto ci conquista, letteralmente.
L’ironia ha funzionato e la pubblicità ha fatto centro.
Ma quanti tipi di ironia esistono pubblicità?
Ironia. Letteralmente “figura retorica nella quale le parole esprimono significati opposti al pensiero che s’intende comunicare”. Sì, metaforicamente si tratta di questo, ma il suo significato non si riduce soltanto a questo.
Esiste un’altra cosa importante che riguarda l’ironia. Per essere utilizzata in modo efficace non deve lasciare il lettore perplesso, deve piuttosto impressionarlo (nel bene o nel male). Pensi che un testo pubblicitario, volutamente ironico, possa permettersi di toppare nel messaggio che desidera comunicare?
A questo proposito esistono tante tipologie di messaggi pubblicitari ironici e, purtroppo, non tutti centrano l’obiettivo. Si può essere esplicitamente ironici o sottilmente ironici: in ogni caso bisogna saper utilizzare l’ironia con estrema intelligenza e cautela. Il rischio è quello di fare una gaffe di proporzioni esagerate.
Sottile ironia vs esplicita ironia
La morte esiste, dobbiamo piangerci su oppure troviamo insieme un’alternativa? Tipo, riderci su?
No, non ho preso questo esempio a caso. Taffo è una ormai nota agenzia funebre che ha fatto parlare di sé, e tanto anche, e non per i servizi che offre ma per le campagne pubblicitarie che sono quasi sempre sopra le righe.
È una pompa funebre sadica e crudele? No, ha semplicemente fatto dell’ironia la sua arma vincente e, che piaccia oppure no, i suoi copy lo sono sempre. Tra chi la critica e chi la elogia, ha gli occhi sempre puntati addosso e il suo modo di fare marketing per alcuni è tabù, per altri è un manuale da leggere e su cui prendere appunti. Insomma, grazie alla sua buona dose di ironia il successo se l’è praticamente assicurato.
Ma qual è il rischio di utilizzare un’ironia che rompa le regole?
Nel caso di Taffo è quello di attirare mamme incazzate e preti sconvolti, che nelle sue campagne riescono esclusivamente a intravedere messaggi di cattivo gusto. Ma per chi sa apprezzare la pubblicità per ciò che è realmente, cioè un veicolo persuasivo volto alla vendita, le sue mosse strategiche non possono che essere piccoli tesori da custodire gelosamente.
Taffo ha promosso anche campagne sociali di un certo valore sfruttando l’ironia nel modo più giusto: un messaggio chiaro, velato e non esplicito, che strappa un sorriso e fa riflettere. Questo è il segreto che ci ha svelato.
Qual è allora la pubblicità di cattivo gusto? Per qualcuno – sottovalutando le statistiche reali – potrebbe esserne un esempio concreto lo spot del Buondì della Motta.
Ed è vero, qui l’ironia è utilizzata in modo più esplicito e gli schemi non li rompe mica, li distrugge proprio. L’ironia, in questo caso, gioca con l’emotività del pubblico e lo spot tenta di impressionarlo con un colpo di scena inaspettato. E ci riesce. Eccome.
Sull’utilizzo del messaggio pubblicitario esplicito non ho nulla in contrario, anzi, trovo che questo spot sia un chiaro esempio di come osare e andare contro il buonsenso comune possa risultare efficace.
Esiste, però, un altro tipo di pubblicità esplicita, quella che, secondo il mio punto di vista, non è altrettanto efficace. Pensate a quei cartelloni pubblicitari che utilizzano visual che non lasciano spazio all’immaginazione – insomma, volutamente volgari -, incollandoci sopra un’headline banale e poco ricercata.
L’intento è proprio quello di attirare l’attenzione di chi passa, di far ridere qualcuno o di far storcere il naso a qualcun’altro. Qualcuno direbbe che così è fin troppo facile “fare colpo” e, in parte, sono d’accordo con voi. Perché in parte? Semplicemente perché questo tipo di pubblicità ha un enorme, gigantesco difetto: quello di essere efficace esclusivamente a livello di immagine.
Cosa resta nella mente di chi passa o di chi osserva lo spot? Probabilmente soltanto il visual.
E il prodotto? Ma chi se lo ricorda?
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