Ricordi le primissime emoji? O, per meglio dire, le care vecchie emoticons? Un tempo bastavano una parentesi, un trattino e due punti per comunicare tristezza o malinconia. Un tap sui due punti e uno sulla “p” maiuscola per fare una linguaccia impertinente all’amico di turno.
Nel lontano 1998 erano soltanto dei semplici simboli pittografici. Pian piano, hanno cambiato veste, trasformandosi in oggetti d’uso comune e in faccine con sorrisi smaglianti. Sono entrate nel linguaggio comune sostituendosi a volti e linguaggi, come espressione di emozioni, concetti e stati d’animo.
Dai Millennials alla Generazione Z, le emoji ci accompagnano praticamente sempre (anche quando non vorremmo), sia nella vita privata che in quella lavorativa. Le troviamo all’interno dei post, delle e-mail, dei messaggi su Whatsapp, durante le conferenze o i meeting online e perfino negli autogrill, sotto forma di peluche.
Insomma, le nostre giornate si riempiono di simboli e di disegni sempre più contestualizzati. Da un lato, ci risparmiano la fatica di scrivere frasi troppo lunghe e ci danno la possibilità di comunicare più rapidamente, dall’altro le usiamo perché non possiamo più farne a meno. In fondo, le emoji ci piacciono e, se non ci piacciono, ce le facciamo piacere lo stesso.

Dall’i-mode ad Emojipedia: le vere protagoniste di un mondo sempre più social
In giapponese, “e” (immagine) – “mo” (scrittura) – “ji” (carattere) significa, letteralmente, pittogramma”. Sono ben 6 miliardi le emoji che, ogni giorno, viaggiano nella rete e vengono condivise tra chat, social network e app di messaggistica istantanea.
E che tu ci creda o no, le emoji hanno una vera e propria storia alle spalle, fatta di segnali stradali, manga e Awards oxfordiani. A proposito, il 2015 è stato il primo e l’unico anno in cui i dizionari Oxford non hanno nominato una parola vera (fatta di caratteri tipografici) come “Parola dell’anno”, ma un emoji. L’emoji in questione è proprio la più utilizzata in assoluto: “Face With Tears of Joy“, noto anche come LOL Emoji o Laughing Emoji, la faccina che piange lacrime di gioia.
Il motivo? Ce lo spiega proprio il team dell’azienda:
Le emoji sono arrivate a incarnare un aspetto fondamentale della vita in un mondo digitale che è guidato visivamente, emotivamente espressivo e ossessivamente immediato.
Oggi, c’è un’intera enciclopedia dedicata alle emoji (in tutto 1600), un vero e proprio scrigno emotivo in cui le emoji vengono catalogate e suddivise per categoria e tipologia e dove è possibile scegliere tra centinaia di smiley, cibi, oggetti, attività sportive, bandiere ed eventi (Emojipedia).
Eppure, all’inizio, le “emoji” erano soltanto 172 e facevano parte di un set di simboli pittografici da 12 pixel per lato. Il pioniere? Fu il giapponese Shigetaka Kurita, che le creò nel 1997 per la piattaforma i-mode (information mode), progettata da NTT DoCoMo, il primo operatore mobile giapponese, per collegare i telefoni a Internet.

Non chiamarle… emoticons!
L’hai fatto almeno una volta, di’ la verità. Capita a tutti di chiamarle erroneamente “emoticons”, eppure, c’è una differenza sostanziale tra emoji ed emoticon.
Non sono sinonimi. L’emoticon (emotion + icon) è piuttosto la sua antenata. Si tratta di una sequenza tipografica di segni di interpunzione che intende rappresentare un’espressione del viso o uno stato d’animo 😉 e che nel 1982 venne suggerita dall’informatico Scott Fahlman per la Carnegie Mellon University. Un’emoticon, quindi, fa parte di un testo.
Le emoji sono immagini a tutti gli effetti, che vengono elaborate da un software e codificate. Altra storia, invece, per le kaomoji. Non alzare il sopracciglio, le kaomoji esistono davvero. Sono quelle emoticons giapponesi che combinano caratteri, simboli e segni di interpunzione per comunicare particolari emozioni, soprattutto attraverso gli occhi.
Se hai emesso un verso simile ad “Aaaaah”, significa che le hai ampiamente utilizzate ai tempi degli sms e di Msn. Prova a smentire! ¯\(°_o)/¯
Le emoji nel copywriting: perché non puoi (e non devi) farne a meno
Le emoji fanno parte del nostro modo di comunicare e sono sempre più rilevanti. Sono simboli della nostra quotidianità, della nostra cultura, del nostro modo di essere e di esprimere emozioni e stati d’animo.
Sono spesso legate al contesto storico in cui viviamo o a un evento in particolare. Basti pensare alla faccina che indossa la mascherina o alle mani che vengono lavate, con tanto di bollicine di sapone liquido, nate in piena pandemia di Coronavirus.
Apple ha cavalcato l’onda delle emoji pandemiche aggiornando la sua ‘Face with Medical Mask‘, così come l’emoji ‘Raised Fist‘ nacque per il movimento Black Lives Matter, in risposta al razzismo e alla violenza della polizia americana.
Un’emoji per abbattere limiti e barriere
Ci sono emoji per ogni nazionalità, rappresentative di una cultura variegata e di una comunicazione che tende all’unione del mondo. Così come ci sono emoji inclusive, che simboleggiano la parità dei sessi, la lotta contro l’omofobia e l’amore per la diversità.
Non è sbagliato, quindi, dire che le emoji valgono più delle singole parole. Vanno ben oltre quell’immagine apparentemente infantile e superano ogni barriera, linguistica e culturale. Diffondono concetti, ideali e valori in modo semplice, accessibile e immediato. Rendono chiaro il tono di voce e danno una marcia in più a qualsiasi testo.
Volti dietro a uno schermo
Le emoji hanno un volto. È per questo che, con un’emoji, diventa molto più facile comunicare, condividere e comprendere qualcuno quando si è dietro a uno schermo. Poco importa che il volto sia digitale e non reale, è comunque un volto, che attiva specifiche aree del cervello e ci porta a rispondere positivamente o negativamente. Perché sì, le emoji influenzano anche il nostro umore, perché si tratta di espressioni, oggetti, linguaggi che utilizziamo ogni giorno anche nella vita reale.
Nel copywriting, quindi, hanno un ruolo importantissimo. Contribuiscono a migliorare l’esperienza degli utenti, a creare empatia, a stabilire un contatto più diretto e sincero, influenzando anche il loro comportamento o le loro reazioni.
Emoji e comunicazione: simboli che valgono più di mille parole
Magari, prima di leggere questo articolo, eri dell’idea che le emoji fossero dei banali simboli per Tiktokers e Baby Boomer in piena crisi di mezza età.
Ma sono certa che adesso non le vedi più allo stesso modo. L’unica regola che ti consiglio di seguire è: non abusarne. Ogni emoji ha un proprio significato, uno scopo ben preciso, e per questo deve essere sempre contestualizzata, motivata e valorizzata. Soprattutto perché, se viene utilizzata in modo approssimativo, può anche stravolgere il significato di un’intera frase, di un messaggio o di un concetto.
Che si tratti delle tue Ads o dell’oggetto della newsletter, ricorda di scegliere le emoji con cura. E adesso, non ti resta che studiare un po’ e conoscere il significato di ogni singola emoji.
Ecco qualche sito per schiarirsi le idee e farne una scorpacciata:
- Emoticonsignificato (per scoprire il significato delle emoji)
- Emojipedia (per trovare l’emoji giusta al momento giusto)
- Bitmoji (per creare la tua emoji personalizzata)
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