E se il posto fisso, in realtà, non lo volessi?

Lavoro e posto fisso, Freelance

Non vuoi un posto fisso? Sei pazza? Già la vedo la faccia di mia madre. E vedo anche la vostra.

Oggi voglio sfatare un po’ di falsi miti, a cominciare da quello sul tanto auspicato posto fisso, ambito come se fosse l’eden dell’appagamento. Probabilmente per alcuni lo è. In fondo, chi non ha bisogno di certezze nella vita?

Ed è vero, il posto fisso dà sicurezza, consente un guadagno mensile stabile, permette di versare i contributi e avere delle tutele presenti e future. Insomma, di vivere senza pensieri né paure. Tutte motivazioni più che accettabili e a cui, anche io, aspiro – in un certo qual modo. Ma allora perché esistono persone, definite folli e squilibrate, che decidono di abbandonarlo? Forse non guadagnano abbastanza? Forse sono un po’ confuse? Si tratta di invasati?

Il web è pieno di queste storie e tutte danno la stessa spiegazione. La risposta è semplice: non tutti i posti fissi sono in grado di rendere felici.

Nuove prospettive, nuovi mondi.

Posto fisso o libertà?, Lascio il posto fisso e cambio vita, Lasciano il posto fisso per girare il mondo, Posto fisso? No, grazie, sono soltanto alcune delle storie di giovani italiani che hanno deciso di abbandonare le certezze del posto fisso in cambio dell’incertezza di un posto proprio.

Ciò che hanno ottenuto è incoraggiante e i risultati sono veri e tangibili, tra tutti la soddisfazione di avercela fatta da soli e la felicità ottenuta dal sentirsi finalmente liberi di pensare e fare con la propria testa e con le proprie mani. So che siete perplessi, ma liberatevi dai pregiudizi almeno fino alla fine di questo articolo, non stiamo certo parlando di miti, cartomanzia o leggende. Queste favole sono vere.

 

Tempo fa mi è capitato di vedere su Netflix un film-documentario davvero molto interessante, di cui mi colpì il titolo: The Minimalists. Ero perplessa anch’io, lo ammetto, ma alla fine dovetti ricredermi. Due registi americani si mettono in viaggio intervistando alcuni giovani che, spinti dal desiderio irrefrenabile di trovare la felicità attraverso la ricerca della libertà, avevano deciso di fare una scelta estrema, quella di vivere nel minimalismo.

Il minimalismo non è una patologia né una malattia incurabile e i “minimalisti” sono giovani un tempo definiti “normali” che improvvisamente decidono di fare un salto nel buio, capovolgendo il tradizionale concetto di “vivere nella società” e compiendo la scelta più semplice e naturale di tutte: liberarsi di tutti i beni superflui, perché ritenuti soffocanti, opprimenti e nemici della salute fisica e mentale, è una scelta estrema.

O almeno lo è per chi conduce uno stile di vita deliberatamente occidentale. Un po’ quello con cui ha fatto i conti uno dei ragazzi intervistati dai due registi che, dopo una vita di sacrifici, era riuscito a raggiungere il proprio grande obiettivo, il sogno di tutti: quello di una vita “perfetta”. Lavorava all’interno di una grossa azienda di New York, guadagnando cifre a sei zeri che gli permettevano di condurre una vita sfrenata fatta di grandi ville, auto di lusso e beni inestimabili. Il risultato, che voi ci crediate o no, erano un profondo senso di vuoto e un’implacabile frustrazione. Scese dal palazzo rinunciando a tutto, alla promozione e ad un altro zero sul proprio conto in banca. Un pazzo? Forse sì.

Fatto sta che, alla fine del documentario, non pensavo affatto che quel tizio fosse un “pirla” – passatemi il termine -, un mentecatto. Il mio punto di vista non era più quello di qualche ora prima. Era stato stravolto e anche con una semplicità disarmante.

Rincorrere le idee. Forse sono soltanto aquiloni, forse storie di successo.

Facciamo un gioco. Prendete un foglio di carta, tracciate una linea orizzontale con una penna. Scrivete zero all’inizio della linea e novanta alla fine. Ora, dividete la linea con linee nette verticali, ognuna rappresenterà dieci anni della vostra vita. Osservate bene la lunghezza della linea che va dai 20 ai 60 anni. È la linea più grande di tutte. È quasi tutta la vostra vita.

Non voglio spaventarvi o farvi entrare in un vortice di ansia e disperazione, sia chiaro. Molti, come me, iniziano a studiare e darsi da fare per trovare un buon posto nel pubblico o nel privato. Ci si laurea e si è convinti che da quel momento in poi la propria vita subirà un’impennata. Alla fine ci si ritrova ad accettare paghe misere, stage gratuiti, lavori in nero e regole assurde. E si trascorrono ore interminabili facendo un lavoro che neppure ci piace. Il mal di schiena, la vista sfocata, le fitte alla testa non sono neppure proporzionati al guadagno. Tutto pur di avere un fisso.

Tornando a casa è inevitabile chiedersi perché e per chi si stia facendo tutto questo. La buona notizia, per me e per voi, è che esiste un’alternativa, la cattiva è che si deve essere determinati per sceglierla. Potrete andare all’estero o rimanere qui in Italia, in entrambi i casi – se lo volete davvero – ce la farete. 

Ho da poco lasciato il mio lavoro d’agenzia in cui venivo retribuita 500 euro per lavorare 9 ore al giorno. Non mi vergogno neppure a dirlo. Ora scrivo per riviste online, mi occupo dei blog di clienti privati e nel pomeriggio mi dedico alla pittura. Gli orari li scelgo io, il tempo l’organizzo io, decido io quando e se andare in vacanza. Vivo di collaborazioni e di passioni. Guadagno? Sì. Ho certezze? No, nessuna. Come non ne avevo in agenzia o in qualsiasi altra azienda in cui ho lavorato e in cui, forse, lavorerò. 

Se sognate di aprire una libreria o di girare il mondo, se desiderate diventare pittori affermati o scrittori indipendenti, se avete sempre voluto avviare un’attività tutta vostra o avete un’idea nel cassetto da proporre ad una startup, fatelo. Non esistono sogni troppo ambiziosi o irrealizzabili. Esiste solo la voglia di mettersi in gioco e la soddisfazione di vivere senza rimpianti.

Scritto da Clara Amico

Scritto da Clara Amico

SEO Copywriter & UX Writer. Cacciatrice di refusi e copywriter poliedrica. Ho iniziato a coltivare il mio amore per la scrittura collezionando penne dall’età di tre anni. Oggi, vivo di parole, UX e microtesti e la qwerty è diventata la mia penna più preziosa.

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